Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio accoglieva il ricorso n. 8005 del 2008, proposto dall’Associazione Italiana Esposti all’Amianto, dall’Associazione Esposti all’Amianto - Friuli Venezia Giulia e dai lavoratori M. R., S. U., V. S., C. U., S. S., E. B., M. P., P. B. e A. M. avverso il decreto del 12 marzo 2008, emanato dal Ministero del lavoro di concerto con quello dell’economia e delle finanze, recante
"Modalità attuative dei commi 20 e 21 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247, concernente la certificazione di esposizione ad amianto di lavoratori occupati in aziende interessate agli atti di indirizzo ministeriale"
nonché avverso l’atto dell’INAIL, recante l’elenco aggiornato degli impianti produttivi i cui lavoratori avrebbero avuto diritto all’applicazione della l. n. 247 del 2007, nella parte in cui non vi erano inclusi gli impianti di L., presso i quali alcuni dei ricorrenti avevano prestato servizio.
Il T.a.r., in particolare, respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dalle amministrazioni resistenti, sulla base dei seguenti testuali rilievi:
- "oggetto del giudizio non è il riconoscimento del diritto ad ottenere una certa posizione previdenziale così come dalla legge direttamente collegata all’esposizione da amianto, perché, al di là delle Associazioni che sono portatrici di un interesse collettivo in materia, e che sono quindi in ogni caso titolate ad impugnare atti lesivi degli interessi della categoria, i ricorrenti singoli il riconoscimento già l’hanno avuto con la apposita certificazione INAIL";
- "il regolamento, ed ancora oltre il provvedimento INAIL, di individuazione degli stabilimenti, i cui lavoratori possono ottenere il beneficio, introducono limitazioni che nella legge non esistono, impedendo al loro diritto di trovare una pratica espansione e realizzazione";
- "il regolamento di attuazione si presenta immediatamente lesivo delle posizioni dei ricorrenti, ed in quanto tale al di là del riconoscimento previdenziale che gli interessati hanno già avuto, esso merita lo scrutinio del giudice deputato per legge alla verifica della legittimità degli atti".
Premesso che la presente causa s’incentra sul sistema di certificazione dei presupposti per l’accesso ai benefici previdenziali, previsti in favore dei lavoratori esposti all’amianto dall’art. 13, comma 8, l. 27 marzo 1992, n. 257 (che, nella versione attualmente vigente, recita:
"Per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,25"), si rileva che il T.a.r., in accoglimento del ricorso, provvedeva come segue:
(i) annullava il decreto interministeriale del 12 marzo 2008, nella parte in cui, all’art. 1, lett. b), limitava la facoltà di avvalersi della certificazione di cui all’art. 1, comma 20, l. 24 dicembre 2007, n. 247 (che testualmente dispone:
"20. Ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono valide le certificazioni rilasciate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) ai lavoratori che abbiano presentato domanda al predetto Istituto entro il 15 giugno 2005, per periodi di attività lavorativa svolta con esposizione all’amianto fino all’avvio dell’azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003, nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale"), ai lavoratori che avevano prestato la propria attività lavorativa "nei reparti indicati nei predetti atti di indirizzo, limitatamente ai reparti od aree produttive per i quali i medesimi atti riconoscano l'esposizione protratta fino al 1992" (v. così, il passaggio testuale del decreto riportato nell’appellata sentenza, al quale è stato limitato l’annullamento);
(ii) annullava l’atto, di cui alla nota INAIL n. 60002 del 19 maggio 2009, limitatamente al passaggio testuale, contenuto nel quarto capoverso, "nei reparti per i quali i predetti atti di indirizzo riconoscano l’esposizione protratta fino a tutto il 1992", nonché limitatamente al quinto capoverso e all’elenco di cui all’allegato 3, "nella parte in cui non prevede l’applicazione dei benefici di cui all’art. 13, comma 8, della L. n. 257 del 1992 nei confronti dei lavoratori i cui stabilimenti siano compresi in altrettanti atti di indirizzo che recano date di esposizione entro il 1992" (v. così, testualmente, a p. 35 dell’appellata sentenza);
(iii) condannava le Amministrazioni resistenti a rifondere ai ricorrenti le spese di causa.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’INAIL, deducendo un unico, complesso motivo, testualmente rubricato come segue:
"Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 1, commi 20 e 21, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dell’art. 13, comma otto, della legge 27 marzo 1992, n. 257, dell’art. 47 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2006, n. 326. Omessa o, quanto meno, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia prospettati dalle parti".
L’Istituto appellante negava, in particolare, l’affermata (nell’impugnata sentenza) restrizione dei presupposti di legge per l’accesso al beneficio previdenziale in questione, investendo gli atti impugnati unicamente le modalità applicative degli atti di indirizzo emanati a suo tempo dal Ministero del lavoro in relazione a siti produttivi di rilevanti dimensioni e nei quali era particolarmente elevato il numero di lavoratori potenzialmente esposti all’amianto, con l’elencazione delle aree produttive e dei reparti, nei quali, per le mansioni e i periodi indicati, sussisteva l’esposizione all’amianto; atti di indirizzo che, peraltro, costituivano esplicazione di una modalità istruttoria aggiuntiva a quella, per così dire ordinaria, costituita dal rilascio di dichiarazioni attestanti l’avvenuta esposizione all’amianto del lavoratore e la rispettiva durata, da parte del datore di lavoro e dell’INAIL, ai sensi della circolare INAIL n. 304 del 13 dicembre 1995, in ogni caso rimasta invariata.
L’Istituto appellante chiedeva dunque, in riforma dell’appellata sentenza, la reiezione dell’avversario ricorso di primo grado.
3. Si costituivano in giudizio le appellate Amministrazioni statali (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Ministero dell’economia e delle finanze), proponendo appello incidentale affidato ai seguenti motivi:
a) l’erroneo rigetto dell’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della presente controversia, versandosi in fattispecie di disciplina dell’accertamento dei presupposti di conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, l. n. 257 del 1992, la cui cognizione era attratta nell’ambito di giurisdizione del giudice ordinario;
b) l’erronea applicazione dell’art. 1, commi 20 e 21, l. n. 247 del 2007 e la conseguente erronea declaratoria dell’illegittimità parziale del decreto interministeriale del 12 marzo 2008 e degli atti attuativi dell’INAIL, in quanto il campo di applicazione del citato disposto normativo andava riferito esclusivamente agli atti di indirizzo accertativi della protrazione dell’esposizione all’amianto fino al 31 dicembre 1992, mentre per tutti gli atti di indirizzo con termine antecedente all’anno 1992 doveva ritenersi verificata la cessazione dell’esposizione all’amianto dei lavoratori interessati al riconoscimento dei benefici pensionistici in questione.
Le appellanti incidentali chiedevano dunque, in riforma dell’impugnata sentenza, la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di giurisdizione e, comunque, il suo rigetto nel merito.
4. Si costituivano in giudizio le associazioni originarie ricorrenti, nonché alcuni dei lavoratori ricorrenti in primo grado, contestando la fondatezza degli avversari appelli e chiedendone la reiezione.
Gli stessi, nelle memorie depositate e scambiate in prossimità dell’udienza di discussione, eccepivano l’illegittimità costituzionale, sotto vari profili, ed il contrasto con gli artt. 6 CEDU e 47 Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, del sopravvenuto (nelle more del presente giudizio) art. 6, comma 9-bis, d.-l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 - che testualmente statuisce: "9-bis.
È consentita, fino al 30 giugno 2010, la presentazione del curriculum professionale di cui all'articolo 2, comma 4, lettera c), del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 marzo 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 12 maggio 2008.
A tali fini, l'articolo 1, comma 20, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, si interpreta nel senso che gli atti di indirizzo ministeriale ivi richiamati si intendono quelli attestanti l'esposizione all'amianto protratta fino al 1992, limitatamente alle mansioni e ai reparti ed aree produttive specificamente indicati negli atti medesimi. " -, di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 20, l. n. 247 del 2007, sostanzialmente confermativa dell’interpretazione posta a base del decreto ministeriale del 12 marzo 2008 e degli atti attuativi dell’INAIL.
Nella memoria depositata il 29 aprile 2010, la difesa degli originari ricorrenti dichiarava l’intervenuto decesso, in data 18 luglio 2008, del ricorrente B.P..
5. All’udienza pubblica del 17 dicembre 2013, la causa veniva trattenuta in decisione.
6.1. In linea pregiudiziale si precisa che deve ritenersi ritualmente costituito il rapporto processuale nel presente grado di giudizio, senza che, all’uopo, fosse necessario disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi dell’originario ricorrente B.P., in quanto:
- il decesso della parte si è verificato il 18 luglio 2008, dunque nel corso del giudizio di primo grado, ampiamente prima dell’udienza del 23 aprile 2009, nella quale la causa è stata trattenuta in decisione;
- qualora nel corso del giudizio di primo grado si verifichi la morte della parte costituita e il difensore di questa abbia omesso, nell’ambito di detto grado di giudizio, di dichiarare in udienza o di notificare alle altre parti l’avvenuta morte del soggetto (ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ., applicabile anche al processo amministrativo in virtù del richiamo di cui all’art. 79, comma 2, cod. proc. amm.), lo stesso non può comparire nel giudizio d’appello, instaurato da altra parte, al fine di dichiarare detto evento, rimanendo questo privo dell’originaria idoneità interruttiva, poiché la posizione della parte colpita dall’evento non dichiarato o notificato resta stabilizzata rispetto alle altre parti ed al giudice, sia nell’ulteriore fase attiva in corso del rapporto processuale, sia nelle successive fasi di quiescenza, dopo la pubblicazione della sentenza, e di riattivazione, a seguito e per effetto della proposizione dell’impugnazione, senza che trovi applicazione la disciplina dell’interruzione o della proroga dei termini di impugnazione di cui all’art. 328 cod. proc. civ., presupponenti l’avveramento dell’evento dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado (v. in tal senso, ex plurimis, Cass. civ., 3 agosto 2012, n. 14106; Cass. Civ., 27 febbraio 1996, n. 1540).
6.2. Con ciò posta la rituale instaurazione del presente giudizio di impugnazione, si osserva che merita accoglimento il primo motivo del ricorso di appello incidentale proposto dalle Amministrazioni appellate, con cui è censurata l’erronea reiezione dell’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice amministrativo.
Occorre premettere che, secondo il costante insegnamento della Corte regolatrice (v., per tutte, Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2008, n. 12378), ai fini della decisione sulla giurisdizione, che si determina sulla base della domanda, non rileva la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto petitum sostanziale, identificato non solo in funzione della concreta pronuncia che si richiede al giudice, ma soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione ad essa accordata dall’ordinamento;
è stato, altresì, precisato (v. Cass. civ., sez. un., 1 agosto 2006, n. 17461) che la giurisdizione del giudice ordinario non può essere esclusa, in favore di quella del giudice amministrativo, per il solo fatto che con la domanda venga denunziata, quale mezzo al fine di tutela dei diritti scaturenti dal rapporto dedotto, l’illegittimità di regolamenti e atti amministrativi, potendo tale circostanza condurre alla verifica in via incidentale della loro legittimità da parte del giudice ordinario ed, eventualmente, alla loro disapplicazione ai sensi dell’art. 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E.
Con specifico riferimento agli atti di indirizzo emanati in materia di esposizione all’amianto dal Ministero del lavoro, in adesione all’orientamento formatosi al riguardo dalla Corte regolatrice deve ritenersi che si tratti di atti amministrativi diretti non già all’impresa o ai lavoratori, ma all’istituto previdenziale, e che gli stessi siano finalizzati ad individuare dei parametri che quest’ultimo è chiamato ad utilizzare in relazione all’attività di certificazione di sua competenza (v. Cass. civ., sez. un., 24 settembre 2010, n. 20164). Gli effetti di tali atti, la cui natura non autoritativa è stata ribadita da Cass. civ., sez. lav., 27 aprile 2007, n. 10037, si realizzano pertanto soltanto nell’ambito del rapporto previdenziale, di natura privatistica.
La rilevata natura di atti propedeutici rispetto al riconoscimento al lavoratore esposto all’amianto del beneficio previdenziale (costituito, ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, dall’applicazione di un coefficiente maggiorato per i periodi di lavoro soggetti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto) induce ad escludere la configurabilità di un autonomo interesse della singola impresa operante nel settore dell’amianto, o dei singoli lavoratori, ad adire l’autorità giudiziaria amministrativa per ottenere la declaratoria dell’illegittimità di tali atti, configurandosi invero le posizioni dei soggetti del rapporto di lavoro e del relativo rapporto previdenziale quali diritti soggettivi, tra di loro contrapposti.
La rilevata natura di atti propedeutici rispetto al riconoscimento al lavoratore esposto all’amianto del beneficio previdenziale (costituito, ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, dall’applicazione di un coefficiente maggiorato per i periodi di lavoro soggetti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto) induce ad escludere la configurabilità di un autonomo interesse della singola impresa operante nel settore dell’amianto, o dei singoli lavoratori, ad adire l’autorità giudiziaria amministrativa per ottenere la declaratoria dell’illegittimità di tali atti, configurandosi invero le posizioni dei soggetti del rapporto di lavoro e del relativo rapporto previdenziale quali diritti soggettivi, tra di loro contrapposti.
Si aggiunga che gli atti di indirizzo in questione si inseriscono in un contesto normativo, che ha per oggetto la tutela del lavoratore sotto il profilo del diritto alla salute (pregiudicata dall’esposizione all’amianto), dove l’attività amministrativa a monte, in particolare quella finalizzata all’accertamento della sussistenza dei requisiti per l’attribuzione del beneficio previdenziale, non ha carattere presuntivo assoluto, ben potendo essere oggetto di contestazione e accertamento autonomo in sede giudiziale (v., sul punto, Cass. civ., sez. lav., 2 agosto 2010, n. 17977).
Ed infatti, l’atto di certificazione dell’INAIL e, a maggior ragione, l’atto di indirizzo che ha funzione propedeutica rispetto ad esso, hanno rilevanza sotto il profilo probatorio e possono essere pertanto liberamente valutati e, al limite, disapplicati dal giudice ordinario, qualora venga in discussione la sussistenza del diritto del lavoratore assicurato ai suddetti benefici previdenziali, con la duplice conseguenza
(i) dell’inconfigurabilità di un autonomo interesse delle parti del rapporto previdenziale ad adire l’autorità giudiziaria amministrativa per sentirne dichiarare l’illegittimità e (ii) della devoluzione della giurisdizione al giudice ordinario sulla controversia volta all’accertamento delle condizioni per la fruizione dei benefici suddetti da parte dei lavoratori (v., su tali principi, la citata sentenza Cass. civ., sez. un., 24 settembre 2010, n. 20164).
Il qui impugnato decreto interministeriale del 12 marzo 2008 - emanato ai sensi dell’art. 1, comma 22, l. n. 247 del 2007, detta, con atto di natura regolamentare ex art. 17, comma 3, l. n. 400 del 1988, la disciplina attuativa dei citati commi 20 e 21 dell’art. 1 l. n. 247 del 2007, in punto di facoltà dei lavoratori di avvalersi della certificazione INAIL emanata sulla base degli atti di indirizzo ministeriale.
L’impugnato decreto, si limita, a disciplinare uno dei possibili regimi di accertamento della sussistenza dei requisiti per l’attribuzione del beneficio previdenziale.
Esso però non incide sulla sussistenza del diritto dei lavoratori ai benefici previdenziali in esame e non assume dunque una valenza immediatamente lesiva della situazione giuridica soggettiva finale di diritto soggettivo, rispetto alla cui tutela il regime di certificazione assolve ad una funzione meramente preparatoria e strumentale.
Tuttavia, per un verso, non è configurabile un autonomo interesse, concreto ed attuale, né dei singoli lavoratori, né delle associazioni ricorrenti in primo grado, ad una impugnazione, in via principale, dell’atto regolamentare in questione.
Per altro verso, resta devoluta al giudice ordinario la cognizione della controversia volta all’accertamento delle condizioni per la fruizione dei benefici suddetti da parte dei lavoratori, oggetto di diritti soggettivi previdenziali connessi al diritto fondamentale alla salute, fermo l’eventuale potere di disapplicazione dell’atto regolamentare e degli altri atti attuativi a monte, ex art. 5 l. n. 2248 all. E del 1865 (le questioni della legittimazione attiva e/o della legittimazione ad intervenire nel giudizio, nonché dell’interesse ad agire, in capo alle associazioni odierne appellate, in sede di giudizio sul rapporto previdenziale, dovranno essere risolte nell’ambito di tale giudizio dal giudice munito di giurisdizione).
Il vigente sistema processuale, attraverso il riconoscimento al giudice ordinario del potere di disapplicazione regolamentare, consente alla parte attrice una piena tutela della propria posizione di diritto soggettivo, a prescindere dall’annullamento del regolamento;
annullamento che, diversamente opinando, diverrebbe uno strumento non solo non necessario rispetto all’obiettivo di tutela, ma persino sproporzionato (nella misura in cui si eliminerebbe definitivamente un atto con efficacia erga omnes, che non sia fonte immediata della lesione della situazione giuridica finale) e potenzialmente lesivo delle posizioni di eventuali terzi estranei al giudizio (che dal regolamento potrebbero trarre vantaggio o, comunque, avere interesse alla sua conservazione; si pensi, nel caso di specie, alle imprese datoriali).
Per le esposte ragioni, in accoglimento del motivo d’appello incidentale in esame e in riforma dell’impugnata sentenza, s’impone la declaratoria d’inammissibilità del ricorso di primo grado, per carenza di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della presente controversia, rientrante nell’ambito di giurisdizione del giudice ordinario.
6.3. Atteso il carattere assolutamente pregiudiziale della questione processuale quale sopra decisa, resta impedito l’ingresso di ogni altra questione, dedotta in via principale e/o incidentale.
7. Considerate le alterne vicende connotanti la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate fra tutte le parti.
Definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 8054 del 2009), accoglie il primo motivo dell’appello incidentale proposto dalle Amministrazioni statali e, per l’effetto, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado (ricorso n. 8005 del 2008 T.a.r. Lazio), per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della presente controversia, rientrante nell’ambito di giurisdizione del giudice ordinario; dichiara le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate fra tutte le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.